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La prima concreta esperienza di Budo fu il nuovo Ju Jitsu ideato da Jigoro Kano, che si proponeva come metodo educativo, insegnato nelle scuole come educazione fisica ed inserito nei programmi di addestramento della polizia giapponese. Tale metodo, definito Judo, (柔道 via della cedevolezza) fece da precursore alle nuove discipline del Budo, che recuperavano i contenuti delle arti antiche. Nel corso degli anni, tale filone etimologico sarà seguito da molte delle discipline moderne tutt’ora conosciute, come il Kendo, discendente del Ken Jitsu, lo Iaido, derivante dallo Iaijitsu, e l’aikido di Morihei Ueshiba, sviluppato a partire dall’aikijitsu.

Il Judo riprendeva in forma moderna e pedagogica le tecniche di Ju Jitsu, escludendo quelle potenzialmente più pericolose e violente, nell’intento di affermarsi anche come disciplina sportiva (coronato nel 1964, anno in cui il Judo fu ammesso nel novero dei Giochi Olimpici, a 14 anni dalla fine del proibizionismo nei confronti di tutte le discipline marziali giapponesi imposto nel dopoguerra generale MacArthur). Fu però proprio in risposta al proibizionismo occidentale e alla progressiva destinazione sportiva del Judo che il Ju Jitsu ebbe la possibilità di riaffermarsi come tecnica di difesa personale, diffondendosi nel resto del mondo grazie agli occidentali (principalmente commercianti e militari) che, visitando il Giappone, ne appresero le tecniche per esportarle nei loro paesi d'origine.

 

Il Ju jitsu ha influenzato la nascita di molti stili ed arti marziali sorti nei secoli successivi, come l’Aikido, il Judo (dal quale in tempi recenti è nato il Brazilian Jiu-Jitsu, che si è rapidamente affermato come uno dei più efficaci stili utilizzati dai combattenti di MMA – Mixed Martial Arts), oltre che diversi stili di Karate, come il Wado-ryu, nato originariamente come una branca della scuola di Ju Jitsu Shindō Yōshin-ryū.

 

Le arti marziali giapponesi sono pregne dei principi culturali e religiosi della terra del Sol Levante. La pacifica coesistenza di correnti Buddiste, Shintoiste, Taoiste e Confucianesime, a cui spesso le scuole di arti marziali e le correnti filosofiche e religiose attingono liberamente, fondendole  e armonizzandole tra loro, rispecchia la varietà di un panorama vasto ed eterogeneo, i cui precetti non di rado vanno a fondersi e armonizzarsi.

 

Il Ju jitsu si inserisce in tale contesto abbracciando il lato più morbido ed adattabile di tali filosofie, che si rispecchia nella ricerca dell’equilibro, sia fisico che mentale, nell’utilizzo della forza e dei movimenti dell’avversario, adeguatamente manipolati per la costruzione di un’efficace metodo marziale.

Una leggenda attribuisce la paternità del Ju Jitsu a Shirobei Akiyama, un medico di Nagasaki vissuto intorno al 1600. Durante i suoi molteplici viaggi tra Cina e Giappone, intrapresi per approfondire le sue conoscenze mediche, il dottore si era appassionato alle arti marziali, studiando molte delle tecniche di combattimento, senza però trovarne alcuna che lo soddisfacesse appieno. Contrariato dal suo insuccesso, si ritirò a meditare per cento giorni nel tempio di Daifazu, pregando il dio Tayunin affinché potesse migliorare.

 

Una mattina, dopo un'abbondante nevicata notturna, il medico si fermò ad osservare il giardino del tempio, completamente innevato. Notò che il peso della neve aveva spezzato i rami degli alberi più grandi robusti, mentre un più fragile salice era rimasto intatto: ogni volta che la neve minacciava di spezzare i suoi sottili rami, questi si flettevano lasciandola cadere riprendendo subito la primitiva posizione.

 

Shirobei  ebbe allora un’illuminazione: intuì l'importanza del principio della non resistenza lo applicò alle tecniche che stava studiando, dando così origine ad una delle più antiche scuole di Ju Jutsu tradizionale, la Hontai Yoshin Ryu (本體楊心流 scuola dello spirito del salice).

 

La leggenda, resa famosa nella forma tramandata dalla Hontai Yoshin Ryu, sarebbe in realtà solo una delle tre versioni circolanti intorno all’origine del Ju Jitsu. Le altre versioni, mantenendo sostanzialmente inalterato lo sviluppo della narrazione, presentano diverse genesi: mentre la seconda versione vuole l’intera vicenda ambientata in Cina, dalla quale la disciplina sarebbe poi stata esportata in Giappone, la terza si limita a dare natali cinesi al medico, accordando al Giappone il ruolo di effettivo luogo di nascita del Ju Jitsu. Le tre versioni incarnano le diverse posizioni storiografiche intorno all’origine del Ju Jitsu e delle arti marziali giapponesi in generale, sottolineandone ora la continuità con le discipline cinesi, ora i caratteri autoctoni ed originali delle arti marziali nipponiche.

 

La Restaurazione Meiji (1866-1869) decretò la fine dello Shogunato Tokugawa, riconsegnando il potere nelle mani della famiglia imperiale. La caduta dell'ultimo shōgun segno l’inizio dell’epoca della modernizzazione (bunmei kaika, 文明開化), che avrebbe mutato profondamente il panorama sociale: i giapponesi, che fino a quel momento avevano vissuto in completo isolamento dal resto del mondo, si volgevano ora avidamente verso la cultura occidentale, registrando un forte calo di interesse per tutto ciò che apparteneva al passato, comprese le arti marziali. Questo fattore, unito alla diffusione delle armi da fuoco ed alla definitiva scomparsa della classe sociale dei samurai decretò un rapido declino del Ju Jitsu: gran parte dei Dojo furono costretti a chiudere per mancanza di allievi, e le tecniche di combattimento sopravvissero solo all’interno delle classi più basse, che le utilizzavano in risse, combattimenti clandestini ed azioni criminali. Tale aspetto influenzò pesantemente il giudizio del popolo nei confronti del Ju Jitsu, che da nobile disciplina marziale si era tramutato in uno strumento di sopraffazione e violenza. Se le discipline marziali che trovavano una più immediata applicazione pratica nella nuova epoca (come quelle a mani nude o quelle che prevedevano l’uso di armi più convenzionali) riuscirono in qualche modo a non scomparire del tutto, sebbene sopravvivessero con scarsa fortuna e spesso spogliate degli aspetti etici e morali, quelle strettamente legate al campo di battaglia apparivano d’un tratto come echi di un passato remoto, e rischiavano seriamente di cadere nell’oblio, segnando così la fine del Bujutsu. In controtendenza, si affermò una nuova visione delle discipline marziali, in linea con i moderni canoni etici e morali, il Budo (武道 via marziale). Il Budō si presenta in epoca moderna come una rielaborazione dell’antico bujutsu, fondata su sistemi educativi e pedagogici di moderna ispirazione. L’utilizzo del kanji “Do” (via) in luogo del kanji “Jitsu” (arte) ha precise connotazioni ideologiche. L'ideogramma dō (道) significa letteralmente "via”, “ciò che conduce” inteso in senso etico e morale: venute meno in epoca moderna le condizioni che portavano le arti marziali a rappresentare l'unico strumento di sopravvivenza ai letali combattimenti del tempo antico, l'attenzione si rivolge ai principi etici, morali e pedagogici.

 

 

Il Ju Jitsu era utilizzato correntemente sul campo di battaglia, in particolare quando i bushi si ritrovavano impossibilitati ad usare le armi, e ricorrevano al combattimento a mani nude: in tale contesto, emergeva la necessità di tecniche per il corpo a corpo, che includevano percussioni, prese, leve articolari e sbilanciamenti. Si constatò ben presto che, contro avversari armati e in armatura, le sole tecniche di percussione potevano in tali casi rilevarsi poco efficaci, per questo il sistema si basava maggiormente su prese, proiezioni e leve articolari.

 

La grande efficacia di tale sistema, che minimizzava l’uso della forza fisica, il cui apporto risultava ridotto in condizioni di inferiorità (numerica, fisica o di equipaggiamento) face si che il Ju Jitsu si sviluppasse largamente sia in ambito militare che, successivamente, in ambito civile. Parallelamente, in ambito strettamente militare, la classe dei Samurai si dedicò allo studio della la via dell'arco e del cavallo  (弓馬の道Kyuba No Michi) che, oltre alle tecniche marziali,  conteneva principi etici e morali, che sarebbero poi diventati il vero e proprio codice di condotta dell’intera casta: la via del guerriero, il bushido (武士道). Fiorivano intanto moltissime scuole aperte anche ai civili, gestite per lo più da Samurai e loro discendenti, accomunate dall'assoluta segretezza dei propri metodi e dalla continua rivalità reciproca, poiché ognuna professava la propria superiorità nei confronti delle altre.

 

Con l'instaurarsi dello shogunato Tokugawa (1603-1867), il Giappone conobbe un periodo di relativa pace: fu questo il momento di massimo sviluppo del Ju Jitsu: i vari Ryu, privi della necessità di combattere e quindi di mantenere la segretezza, poterono classificare i propri metodi, compilare programmi e curare la diffusione dei propri insegnamenti. Anche la gente comune cominciò a interessarsi al Ju Jitsu, che oltre agli indubbi vantaggi pratici, portava un arricchimento interiore dell'individuo, data la forte relazione che intercorreva tra la pratica ed i riti di meditazione propri del buddismo zen.

 

Durante il periodo Edo, agli inizi del 17° secolo, il Ju Jitsu si impose come principale arte marziale giapponese, grazie anche all’assetto politico della nazione: lo shogunato Tokugawa, influenzato dalle dottrine cinesi e dal Neo-Confucianesimo, che si andavano affermando sempre di più, avviò una politica pacifista, mirata a ridurre il rischio di guerre e conflitti. Si prospettavano anni tranquilli, durante i quali armi e armature venissero impiegati sempre più di rado, a vantaggio dello sviluppo di un combattimento disarmato adattabile alla difesa personale.

 

I Ryu, che vivevano il loro momento di massimo splendore, codificano in questo periodo un gran numero di tecniche per il combattimento contro avversari privi di armatura. La maggior parte dei metodi del periodo Edo comprende gli atemi (当て身 tecniche di percussione dei punti vitali), poco applicabili contro avversari in armatura, ma molto utili in ambiti civili. Vengono inserite nei programmi anche tecniche di colpo non necessariamente mirate ai punti vitali (打ち uchi). Tali tecniche, considerate (rispetto agli atemi, ai soffocamenti e alle leve articolari) meno favorevoli in un bilancio tra danno inflitto ed energia spesa, acquistano nel Ju Jitsu una particolare dimensione: esse costituiscono raramente l’aspetto principale del combattimento, assumendo piuttosto la valenza di “kasumi”(霞 nebbia, distrazione) azioni mirate ad aprire la strada all’applicazione di leve, proiezioni e strangolamenti, e di “kake waza”, azioni conclusive.

Quel che è certo è che tutte le discipline asiatiche (non solo quelle marziali) trovino i loro natali nel subcontinente indiano, che fu la prima delle terre orientali a sviluppare una civilizzazione, che esporterà progressivamente verso oriente la propria influenza, che si espanderà, nel corso dei secoli, in due principali diramazioni: a nord-est, toccando la cina, la mongolia e il Giappone; e a sud est, giungendo in Tailandia, Vietnam e nell’arcipelago indonesiano. Successivamente le varie arti, fondendosi con gli usi ed i costumi locali, mutarono profondamente, acquisendo pienamente lo status di discipline autonome. Non è comunque difficile individuare rituali e tradizioni che, al di là delle differenti sfaccettature nazionali, siano presenti in maniera diffusa in tutto l’oriente: se le arti marziali, la più fulgida esperienza di fusione tra disciplina fisica e precetti filosofici e morali, costituiscono la più chiara testimonianza di tale identità comune, non mancano evidenti parallelismi in tantissimi altri campi, quali la preparazione del tè, sviluppatasi in Cina, ed esportata in tutto il mondo, ma soprattutto in oriente, dove tale aspetto della cultura si interfaccia con rituali e tradizioni filosofiche e religiose, al pari della produzione delle spezie, alla floricoltura e all’erboristeria; la pratica dei massaggi e dell’omeopatia, che in oriente molto più che in occidente è riconosciuta come valido coadiuvante alla medicina ufficiale.

 

Basandosi su dati storici, si può datare l'origine del Ju Jutsu attorno all’anno mille: la famosa scuola Daito Ryu (大東流), una delle più antiche Koryu giapponesi ancora oggi esistenti, attualmente inquadrata come stile di Aiki-jujitsu, fu fondata nell’anno 1087 come scuola di Ju Jitsu da Shinra Saburō Minamoto no Yoshimitsu, appartenente alla 5° generazione della dinastia Minamoto, che certamente codificò nel suo programma gran parte delle conoscenze tramandategli dai sui avi, di cui abbiamo notizie fin dal tardo IX secolo (il clan Minamoto fu fondato nell’anno 894).

 

Documentazioni certificate si hanno però solamente a partire dal XVI secolo, quando la scuola Takenouchi Ryu (竹内流) produsse una codificazione scritta (che è pervenuta fino ai nostri giorni) dei propri metodi di combattimento. Hisamori Takeuchi, tattico militare e signore della provincia di Mimasaka, combinò vari stili e discipline già utilizzati sul campo da battaglia in situazioni di combattimento ravvicinato, quando le armi risultavano inefficaci. Le tecniche approfondivano il campo delle leve articolari, delle immobilizzazioni, dei lanci e egli strangolamenti, giudicati più efficaci per fronteggiare avversari in armatura. Le scuole tradizionali, come la takenouchi-ryū, svilupparono metodologie di schivata, parate e contrattacco contro le armi lunghe, come spade e lance, che prevedevano l’utilizzo di lame corte o altre piccole armi.

 

In un paese come il Giappone, la cui storia fu caratterizzata da un susseguirsi di guerre feudali, il ruolo del guerriero (bushi 武士) rivestì una particolare importanza nella cultura popolare: la difesa del territorio, la disputa delle contese, la protezione offerta dal più forte al più debole sono solo alcuni dei fattori che  hanno permesso lo sviluppo tecnico delle arti marziali, dettato dalla necessità di sopravvivenza.

 

Le uniche precedenti esperienze di pratica del combattimento corpo a corpo erano costituite dalla disciplina che prendeva il nome di 相撲 (“Sumo”, ma si tratta di una pratica profondamente diversa dalla disciplina che sarebbe diventata poi diventata lo sport nazionale giapponese), che nel corso dei secoli si sarebbe trasformata in una sorta di danza rituale (trasmettendo poi tali caratteri alle cerimonie di apertura degli incontri dell’omonima disciplina sportiva).

 

La necessità di una tecnica combattiva di carattere marziale, adatta all’uso sul campo di battaglia portò, durante il periodo feudale (1185 - 1625 circa) alla codifica del Bujutsu, (武術 arti marziali) un insieme di sistemi di combattimento, armato e a mani nude, fondati su basi analitiche e contenenti un’importante componente tattica, praticati all’interno della classe militare (Buke 武家).

Il Bujutsu presenta tratti caratteristici che lo differenziano rispetto ad altre tradizioni di esercizio militare: in primo luogo, la natura stessa della disciplina, che costituisce un sistema integrato contenente diverse discipline indipendenti: (numerose discipline legate alle singole armi marziali, nozioni di tecnologia militare, precetti etici…). Il Bujutsu era inoltre caratterizzato da una forte organizzazione: controllato dall’autorità imperiale, era divulgato attraverso scuole familiari o claniche, che di lì a poco avrebbero dato origine ai numerosi 流 (Ryu: scuole), che avrebbero vissuto il momento di massimo splendore durante il periodo Edo.

Nel corso dei secoli si pervenne ad una sistematizzazione delle discipline del Bujutsu, che prese il nome di Bugei Juhappan (武芸十八 18 arti marziali: 芸 è un “sinonimo” di 術, sebbene quest’ultimo appartenga ad un registro linguistico più raffinato. Non tragga invece in inganno il termine “Juhappan”, che non ha alcun legame col nome della nazione, che in Giapponese è “Nihon”, ma è la semplice traslitterazione dei kanji 十八, ossia il numero 18). Il Bugei Juhappan costituiva un vero e proprio curriculum degli studi militari  che (sebbene attraverso le fonti attuali non siamo in grado di elencare con assoluta certezza) comprendeva un’arte del combattimento a mani nude, diverse arti sull’utilizzo delle armi, nonchè discipline non direttamente legate all’ambito marziale, quali il nuoto, l’ipnotismo, lo spionaggio, l’arte dei nodi.

Cenni Storici sul Ju Jitsu

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